Gli adolescenti e il fenomeno delle “challenge”: da dove nasce il desiderio di sfidarsi?

Gli adolescenti e il fenomeno delle “challenge”: da dove nasce il desiderio di sfidarsi?

Quello delle cosiddette “challenge” è un fenomeno ormai molto diffuso tra gli adolescenti. I meccanismi che spingono gli adolescenti a sfide sempre più estreme, fino ad esporsi a comportamenti molto rischiosi, sono però più complessi e difficili da comprendere.

L’adolescenza e il bisogno di sfida

È tipico dell’adolescenza il desiderio di sfidare sé stessi o gli altri, di mettere alla prova i limiti e le regole per vedere fino a che punto si possa arrivare, di spingersi sempre oltre nel tentativo di esorcizzare le proprie paure (ad esempio la paura della morte), per dimostrare, prima di tutto a sé stessi e poi al mondo esterno, di essere “grandi”.

Per l’adolescente, sfidare le regole è anche un tentativo di emanciparsi dalle figure adulte di autorità (genitori, insegnanti, educatori) e di affermare se stesso, di conquistarsi un ruolo e uno spazio di autonomia. In questo senso la sfida è un aspetto connaturato all’età adolescenziale.

Purtroppo, però, mentre in condizioni fisiologiche vi è un sano senso del limite, in casi di maggiore fragilità e vulnerabilità questo limite non viene percepito e possono essere messe in atto condotte molto pericolose. Alcuni adolescenti sono più fragili, più vulnerabili ai messaggi del web e più predisposti a lasciarsi “contagiare” da alcune dinamiche disfunzionali di sfida, che non hanno un carattere evolutivo ma che, al contrario, risultano patologiche e distruttive. È questo il caso delle “challenge”, un fenomeno complesso al quale concorrono diversi fattori.

Fattori neurobiologici e dinamiche di gruppo

Nelle challenge è presente un bisogno di procurarsi uno stato di eccitazione, di euforia, di “brivido”, per sentire un’attivazione interna. Da un punto di vista neurobiologico, le esperienze eccitanti stimolano nel cervello il rilascio di dopamina, un neurotrasmettitore connesso alle sensazioni di piacere. Si parla di “sensation seeking” per descrivere appunto la ricerca di sensazioni forti e intense, anche a rischio di mettersi in grave pericolo. Anzi, proprio la consapevolezza del rischio che si corre amplifica la sensazione di onnipotenza e di invincibilità che questi adolescenti cercano con quel comportamento.

L’adolescente è convinto (erroneamente) di aver calcolato ogni rischio e di essere al sicuro ma, in adolescenza, le aree cerebrali deputate alla pianificazione, alla valutazione delle conseguenze e al controllo degli impulsi, non sono ancora pienamente mature e l’adolescente può esporsi a comportamenti altamente rischiosi senza riuscire a prevederne appieno gli effetti.

Nel fenomeno delle “challenge” giocano un ruolo fondamentale anche le dinamiche di gruppo, in quanto gli adolescenti hanno un profondo bisogno di sentirsi accettati, riconosciuti nel proprio ruolo sociale e apprezzati dai pari e, per ottenere approvazione e consensi, sono disposti a pagare un prezzo molto elevato, arrivando ad esibirsi sui social o su youtube con azioni tanto pericolose quanto apparentemente insensate, come rischiare di avvelenarsi con del detersivo per bucato.  L’opinione dei compagni, degli amici e del numero infinito di contatti in rete condizionano profondamente il loro giudizio e le loro decisioni.

Inoltre, si può dire in un certo senso che le dinamiche di gruppo condizionino gli adolescenti anche da un punto di vista neurobiologico. L’accettazione da parte del gruppo, infatti, è in grado di attivare circuiti cerebrali connessi alla sensazione di piacere e al rilascio di dopamina e i comportamenti messi in atto per ottenere questo tipo di ricompensa verranno più facilmente appresi e reiterati.

Le “challenge” negli adolescenti di oggi e di ieri

Il bisogno di sfida messo in atto dagli adolescenti è un fenomeno che è sempre esistito all’interno delle dinamiche di gruppo. Le “challenge” possono essere considerate un modo per autoaffermarsi e per ritualizzare il difficile passaggio dall’infanzia all’età adulta.

In qualche modo, le “challenge” ricordano dei riti di iniziazione. Rituali ancora oggi diffusi e praticati in diverse regioni nel mondo, che spesso richiedono ai più giovani di compiere azioni pericolose per essere riconosciuti come adulti.

È chiaro, tuttavia, che i social network tendono ad amplificare, e spesso a distorcere, questi fenomeni. L’attuale generazione di adolescenti, con gli strumenti digitali che ha a disposizione, l’abitudine ad essere costantemente connessi alla rete, ha dato una forma nuova e inquietante a questo fenomeno, rendendolo dilagante e inarrestabile anche nelle sue forme peggiori.

Per l’adolescente, imitare un comportamento condiviso in rete da migliaia di persone, per quanto privo di senso o anche pericoloso questo possa essere, aumenta enormemente la sensazione di condivisione tra giovani che portano avanti quella stessa condotta.

Una distinzione importante tra sfide estreme e autolesionismo

Per quanto paradossale possa sembrare, anche le “challenge” più pericolose non hanno nella mente dell’adolescente un intento autolesionistico. Al contrario, esse servono all’adolescente per “sentirsi vivo”, euforico, attivo, eccitato. Queste sfide, quindi, non hanno a che fare con l’autolesionismo e nemmeno possono essere considerate dei tentativi di suicidio mascherati, perché hanno alla base una motivazione completamente diversa, come illustrato in precedenza.

Tuttavia, è evidente che l’effetto di questi comportamenti è certamente autolesivo e autodistruttivo per la psiche dell’adolescente, che è spinto a sacrificare la propria individualità, ad annullare il proprio pensiero, talvolta addirittura a mettere in pericolo la propria vita, per ottenere approvazione e rispetto dagli altri.

Le “challenge” per esorcizzare la paura della morte

Alcuni tipi di “challenge” (come il “blackout”, ovvero il “gioco” di provocarsi uno svenimento che simuli la morte), sembrano avere la funzione di esorcizzare alcune delle paure più profonde dell’individuo, come quella della morte. Esporsi a comportamenti potenzialmente letali, “prendersi gioco” delle proprie paure e vantarsene sul web, attiva nell’adolescente un momentaneo senso di onnipotenza e l’illusione che la paura si possa sconfiggere e annullare semplicemente superando una sfida, oltrepassando i limiti.

Attraverso questi comportamenti, quindi, gli adolescenti non cercano la morte, al contrario vogliono sperimentare una sensazione forte che li attivi e faccia loro sentire l’eccitazione e il senso di invincibilità. Paradossalmente, è proprio per sentirsi vivi e liberarsi dalla paura della morte che questi adolescenti sfidano i limiti della sopravvivenza.

Purtroppo, gli adolescenti non sono in grado di valutare accuratamente le conseguenze delle proprie azioni e, benché ritengano di aver calcolato tutti i rischi, spesso queste sfide hanno esiti tragici.

Come sostenere l’adolescente

Molto spesso gli adolescenti di oggi non sono sufficientemente preparati ad affrontare le proprie paure: da bambini vengono tutelati e iperprotetti da tematiche che i genitori temono siano intollerabili per loro, come appunto quella della morte. L’effetto è che, in adolescenza, i ragazzi si trovano alle prese con alcune paure che non hanno imparato a fronteggiare emotivamente fin da piccoli e che cercano di combattere con le modalità sregolate e trasgressive tipiche di quella fase della crescita.

Gli adolescenti sprovvisti di strumenti emotivi che li sostengano nel riconoscimento delle proprie paure e nell’accettazione dei propri limiti saranno più fragili e vulnerabili a queste dinamiche disfunzionali e pericolose. Per questo è importante accogliere e non sottovalutare i segnali di disagio che possono emergere in questa fase della crescita e sostenere l’adolescente rivolgendosi, se necessario, a uno specialista che possa dare un aiuto mirato al ragazzo e alla sua famiglia.

 

Un ringraziamento a D Repubblica per aver pubblicato la mia intervista sul tema delle “challenge” in adolescenza. Leggi l’articolo completo intitolato “Il gioco della vita”.